venerdì 13 maggio 2011

OMERO, ILIADE, Alessandro Baricco

L’Iliade, il capolavoro omerico che fonda la cultura e la letteratura occidentale, viene riproposta da Alessandro Baricco in una veste molto più concisa e fruibile per il lettore moderno. Quest’operazione è il risultato diretto del progetto di Baricco di leggere in pubblico l’Iliade: progetto che, se affrontato sul testo integrale, avrebbe richiesto ore, giorni, settimane ed un pubblico estremamente motivato e paziente. Invece in questo modo Baricco riassume, “attualizza”, taglia (e ogni tanto “cuce”) il testo originale, creando un’opera nuova, efficacemente postmoderna.
Ai fedelissimi della traduzione di Rosa Calzecchi Onesti parrà che nel testo manchi la Poesia, ma uno degli intenti dell’autore era proprio questo; la sua versione è infatti basata sulla traduzione in prosa di Maria Grazia Ciani (Marsilio).
Le aggiunte al testo sono minime, e tutte segnalate dal corsivo: si tratta sia di interventi dell’autore che «riportano in superficie sfumature che l’Iliade non poteva pronunciare ad alta voce, ma nascondeva tra le righe», sia di passi di narrazioni posteriori della medesima storia. L’aggiunta più consistente è l’intervento finale di Demòdoco, che racconta della fine della guerra di Troia, dato che l’Iliade si conclude con la morte di Ettore e la restituzione del corpo al padre Priamo.
La narrazione è inoltre girata in soggettiva, sembrando in alcuni punti inverosimile (perché il personaggio dovrebbe sapere cose che accadono anche in sua assenza?), ma si tratta di un espediente senza dubbio efficace per tener vivi l’interesse e la capacità di immedesimazione di un pubblico moderno.
Se la forma è completamente stravolta, la storia è immutata, la sostanza è la medesima, le scene riportate sono le stesse che si susseguono nell’opera omerica, tranne una piccola importante eccezione: gli Dei. Gli Dei scompaiono, gli Dei non esistono nell’Iliade postmoderna, perché «sono forse le parti più estranee alla sensibilità moderna, e sovente spezzano la narrazione, disperdendo una velocità che, invece, avrebbe dell’eccezionale».
Dunque anche questa scelta si inscrive a pieno nel progetto di “velocizzazione” del testo, esigenza derivante dal progetto di lettura orale del testo, ma io credo soprattutto dalle necessità dell’epoca. Non dimentichiamo infatti che l’Iliade di Omero è nata, ed è stata tramandata per secoli, come testo orale. Dunque il problema non è l’oralità, ma le caratteristiche proprie del nostro mondo: velocità, facilità, superficialità (mi riferisco al quadro che lo stesso Baricco, consapevolissimo analista della nostra epoca, traccia ne I barbari).
E gli Dei, sono davvero così superflui? Secondo Baricco «l’Iliade ha una sua forte ossatura laica che sale in superficie appena si mettono tra parentesi gli dei. Dietro il gesto del dio il testo omerico cita quasi sempre un gesto umano che raddoppia il gesto divino e lo riporta, per così dire, in terra». Gli Dei dell’Iliade agiscono sulla realtà soprattutto attraverso le azioni degli uomini quindi, se da un lato la loro assenza riporta in primo piano l’uomo, le sue azione e le sue responsabilità; dall’altro toglierli dalla scena priva il testo del suo senso profondo, dello zeitgeist di quel mondo che racconta: «togliere gli dei dall’Iliade non è probabilmente un buon sistema per comprendere la civiltà omerica: ma mi sembra un ottimo sistema per recuperare quella storia riportandola nell’orbita delle narrazioni  a noi contemporanee».
Omero, Iliade si presenta come un libro utile per un veloce e piacevole ripasso della storia della guerra di Troia, ma rimane soprattutto un’opera rappresentativa dello spirito del nostro tempo, proprio e soprattutto nel confronto con il predecessore omerico.

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