sabato 14 maggio 2011

IL CIGNO NERO, Danny Aronofsky

Dopo il pluripremiato The Wrestler, vincitore nel 2008 del Leone d’oro per il miglior film a Venezia, il regista Danny Aronofsky torna a confrontarsi (in modo diametralmente opposto), al tema della fisicità e dell’autolesionismo. Se nel 2008 abbiamo visto un pompatissimo Mickey Rourke sformato e martoriato dalla dura e squallida carriera del Wrestler, nel Cigno nero incontriamo Nina (Natalie Portman), ballerina estremamente perfezionista e tecnica, ossessionata dal suo fisico. Il rapporto di Nina con il cibo è disturbato: la magrezza è l’ideale a cui tendere e il mangiare è ridotto al minimo ed è accompagnato dai sensi di colpa. Le inquadrature che evidenziano la magrezza e la spigolosità del corpo, del viso (e quindi dell’animo) di Nina (i primi piani della Portman sono un capolavoro di espressività) sono spaventose quanto tutte le altre forme di autolesionismo, esibite e sottolineate dal regista (che sicuramente un po’ si compiace nel farci fremere sulla poltrona).
La giovane e promettente ballerina di New York vede finalmente realizzarsi i suoi sogni: una parte da protagonista nell’allestimento del Lago dei cigni di Čajkovskij. I suoi sogni si sovrappongono a quelli della madre Erica (Barbara Hershey), ex-ballerina che ha rinunciato alla carriera e che cerca una rivalsa personale nella figlia. Tra madre e figlia il rapporto è claustrofobico: Erica ha negato ogni barlume di autonomia e di libertà ad una figlia che ha il compito di riscattare i suoi sogni infranti; Nina dal canto suo, rinchiusa in questa trappola infantile di doveri e sensi di colpa, si sente soffocare.
Nina, che ha vissuto nel mondo irreale e patinato creato dalla madre, non si è mai confrontata con gli aspetti più dinamici e sensuali della vita. Il Dionisiaco le è estraneo. Il sesso è qualcosa di conturbante e proibito. Così, quando il regista Thomas Leroy (Vincent Cassel) la propone per la parte di protagonista, Nina,  perfetta per interpretare il cigno bianco, elegante e puro, si scontrerà con l’incapacità di rappresentare la parte sensuale e affascinante del cigno nero, interpretata magnificamente dall’altra ballerina candidata, Lilly (Mila Kunis), femminile e magnetica.
Nina vede in lei una rivale terribile, ma al tempo stesso ne è irresistibilmente attratta, proietta in Lilly tutte le proprie caratteristiche vitali ed oscure, continuando a vivere nel suo mondo piatto e parziale, bianco e rosa. Se siamo nel regno del dualismo, dove Male e Bene sono entità separate, questa atmosfera psicologica è incredibilmente resa sulla scena attraverso la netta separazione cromatica di bianco e nero, realizzata attraverso vestiti e costumi: il bianco e il rosa dominano la vita di Nina, mentre Lilly è sempre accompagnata dal nero. Fondamentale a livello visivo è anche la presenza degli specchi: lo specchio fa paura perché mostra chi siamo e, se quello che mostra non ci piace, la forza terrifica del nostro doppio diventa una realtà tangibile.
L’impossibilità di accettare le sue pulsioni, i suoi desideri e le sue parti d’ombra porta Nina nel baratro della frammentazione e della schizofrenia. La sua parte dionisaca, da forza primordiale dinamica e rigenerativa, si traforma così in una forza distruttiva e autolesionista, fino alla pulsione di morte.
Insieme a Nina, accompagnati dalle sublimi musiche di Čajkovskij, anche noi compiamo questo orrorifico viaggio nella psiche: Aronofsky non ci risparmia niente, ci smarrisce e ci conduce in un mondo mentalmente distorto e deformato.

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