giovedì 29 settembre 2011

CARNAGE, Roman Polanski


L’ultimo film di Roman Polanski, Carnage (letteralmente "massacro") è basato su Le Dieu du carnage, una pièce teatrale della drammaturga contemporanea francese Yasmine Reza (in Italia pubblicata da Adelphi: Il dio del massacro, 2007). Ci troviamo dunque davanti ad un’opera riadattata per il cinema che però non dimentica le sue origini teatrali e, ambientata totalmente in poche stanze, concentra tutta la sua forza dirompente sulla sceneggiatura e sulla recitazione degli attori. Ambientato a Brooklyn, nell’appartamento dei coniugi Longstreet, il film si apre con la discussione tra due coppie di genitori che vorrebbero risolvere civilmente un brutto incidente avvenuto tra i loro figli undicenni: una provocazione, una bastonata, labbra gonfie e due incisivi saltati. I Longstreet, genitori della parte lesa, stanno cercando di avviare un patteggiamento insieme ai Cowan, genitori dell’aggressore, armati delle migliori intenzioni, cercando di evitare critiche e rancori. Tutto sembra andare per il meglio, le due coppie dialogano e si confrontano in maniera benevola e costruttiva nonostante cominci a serpeggiare un certo malumore, dovuto all’insofferenza e a qualche battutina. Diverse volte i Cowan cercano di andarsene, ma ogni volta c’è qualcosa che li spinge a tornare indietro, un caffè o un pezzo di torta, finché qualcosa, a un certo punto, comincia davvero ad andare storto… Un criceto abbandonato e un’irrefrenabile nausea sono i pretesti attorno a cui inizierà a costruirsi la spirale di odio che invaderà le anime dei quattro protagonisti. Penelope Longstreet (Jodie Foster) scrittrice impegnata, appassionata d’arte e attivista per i diritti umani del Darfur è la buonista del gruppo, convinta di essere migliore degli altri si sente in diritto di fare a tutti la predica sull’educazione dei figli. Michael Longstreet (John C. Reilly), suo marito, venditore all’ingrosso di pentole e sciacquoni (e colpevole dell’abbandono del criceto della figlia), inizialmente amichevole e conciliante, si rivelerà una persona vuota, fredda e insensibile, soprattutto nei confronti della moglie. C’è poi Nancy Cowan (Kate Winslet), operatore finanziario, riservata e signorile, che rilascia il contenuto del suo stomaco sui libri d’arte della signora Penelope e che alla fine, sbronza, manifesterà tutto il suo menefreghismo nei confronti della situazione. Infine c’è Alan Cowan (Christoph Waltz), avvocato di successo, calcolatore e privo di scrupoli, unico personaggio che dall’inizio alla fine si mostra più o meno uguale a se stesso: estremamente maleducato nelle sue telefonate, cinico e poco disponibile alla finzione e al buonismo, dichiarerà apertamente: «Penelope, io credo nel dio del massacro. È il solo che ci governa, in modo assoluto, fin dalla notte dei tempi». La guerra è aperta, la carneficina ha inizio in un alternarsi continuo di ostilità ed alleanze. Per 80 minuti dimenticate il politicamente corretto, i buonismi e le ipocrisie: tutte le convenzioni della convivenza civile crollano a poco a poco, lasciando il posto ad una realtà crudele e spietata. Polanski smaschera e distrugge il sogno americano e l’idea di società civile occidentale mettendo in scena la realtà della barbarie umana. Eppure nella scena finale il regista lascia intravedere una speranza per il futuro: il criceto, inconsapevole protagonista di questa vicenda (e testimone in prima persona della crudeltà umana) è ancora vivo e i due ragazzini giocano insieme: hanno già fatto la pace e scoperto il perdono

venerdì 16 settembre 2011

TERRAFERMA, Emanuele Crialese


In una piccola isola a sud della Sicilia una piccola comunità di pescatori cerca di tenere in vita le antiche leggi del mare, nonostante i tempi siano cambiati…
Filippo (Filippo Pucillo), giovane orfano di padre, vive con la madre Giulietta (Donatella Finocchiaro) ed il nonno Ernesto (Mimmo Cuticchio) in una sperduta isola della Sicilia. Durante la pesca Filippo ed Ernesto si imbattono in un gommone in avaria pieno di immigrati. La capitaneria di porto gli intima di non accoglierli assolutamente a bordo, ma i pescatori seguono la vecchia legge del mare e ne imbarcano alcuni che rischiano di affogare. Tra questi una donna incinta, Sara (Timnit T.), e suo figlio. Rientrati in porto alcuni immigrati fuggono, ma Sara deve partorire, così viene accolta e aiutata da Giulietta. A questo punto comincia un braccio di ferro tra i pescatori e le forze di polizia, tra le vecchie tradizioni che in mare impongono l’aiuto reciproco, e le leggi di un governo poco sensibile alle sofferenze degli immigrati. Giulietta ha paura di essere scoperta, vuole che Sara se ne vada, ma al tempo stesso a poco a poco tra le due donne si instaura un profondo rapporto di empatia emotiva: attraverso l’esperienza della maternità ed il racconto della sofferenza le due donne si sentiranno sorelle, partecipi della sorte e del destino l’una dell’altra. Intanto Filippo, oscillando tra ingenuità e crudeltà, compierà un percorso di crescita e consapevolezza, aprendo gli occhi sul mondo e imbarcandosi per il viaggio alla ricerca della terraferma, terra promessa simbolo di speranza e libertà.
Il mare della Sicilia torna come vero protagonista di questa narrazione continuando il discorso di ricerca estetica cominciato da Crialese con Respiro (2001). Le affascinanti inquadrature sottomarine permettono allo spettatore di dimenticare il dato di realtà sprofondando in una dimensione onirica e fiabesca. Quando sott’acqua vengono inquadrati i corpi delle persone che nuotano si crea una scena corale di forte potenza espressiva che rende le persone tutte uguali, irriconoscibili e indistinguibili, legate in un patto di armonia e di fratellanza che la realtà terreste invece nega. L’isola di Crialese diventa metafora di tutto il mondo e di tutti i tempi, portatrice di un messaggio di solidarietà che supera i confini spazio-temporali della storia toccando la dimensione dell’universale umano.
La donna che impersona Sara (Timnit T.) non è un’attrice, ma una vera migrante. La giovane africana è stata protagonista di una delle storie più atroci che la recente cronaca sull’immigrazione ricordi. Nel 2009, dopo ventuno giorni alla deriva, senza cibo né acqua, un barcone approda sulle coste di Lampedusa: a bordo ci sono 79 persone di cui soltanto 5 sono vive. Tinmit T. racconta che almeno dieci volte hanno sperato di essere salvati, vedendo delle imbarcazioni passare nelle loro vicinanze ma che ogni volta, puntualmente, ogni imbarcazione li ha ignorati, condannandoli a morte certa.

venerdì 2 settembre 2011

AVVENTURE DELLA RAGAZZA CATTIVA, Mario Vargas Llosa


Le labbra carnose, gli occhi maliziosi scuri come il miele, il corpo sottile e sinuoso con forme morbide ed eleganti… Questa è la niña mala, “ragazza cattiva” che incanta e seduce Ricardo per una vita intera. Le maniere civettuole, l’ironia di chi sa e vuole piacere, unite all’ambizione e al desiderio di ricchezza fanno di questa donna una bomba ad orologeria: egoista e materialista, è concentrata solo su se stessa e sul proprio successo, comportamento tipico di chi nell’infanzia ha conosciuto la precarietà dell’esistenza che la miseria comporta. Per raggiungere la sicurezza economica la niña mala sarà pronta a tutto e vivrà una vita di avventure impensabili: Lima, Cuba, Parigi, Londra, Tokyo e di nuovo Parigi, il mondo stesso sembra starle piccolo. Impara le lingue, cambia personalità, si adatta ad ogni situazione grazie alla sua capacità di trasformista e, da buona arrampicatrice sociale, si sposa diverse volte. In mezzo a questa vita turbolenta e avventurosa la niña mala porta avanti il difficile rapporto con un niño bueno, Ricardo, che ne è irrimediabilmente innamorato, nonostante lei lo faccia terribilmente soffrire. Ricardo lavora come traduttore ed interprete all’Unesco di Parigi e il suo lavoro gli offre la possibilità di viaggiare, così, ogni volta che le coincidenze della vita gli permetteranno di sapere dove si trova la niña mala, lui partirà a cercarla, ardente d’amore e di desiderio. Solamente quando, esasperato dalla sua crudeltà, Ricardo avrà realmente deciso di dimenticarla, la ragazza tornerà a bussare alla sua porta, fisicamente e psicologicamente devastata dalle sue ultime esperienze di vita. Una storia d’amore intensa e dolorosa, una storia di sesso, passione, ossessione e follia, una storia molto sudamericana dove l’amore nasce e si consuma in momenti di caldo erotismo e in frasi da telenovela (le famose huachaferìas che piacciono tanto alla niña mala). A fare da sfondo, il ritratto di quel periodo pieno di speranze, sogni e delusioni che è stato quello dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Parigi, i suoi bistrot e la sua vita culturale; Londra, i Beatles, i figli dei fiori, l’AIDS; e poi l’allucinata e ricca Tokyo, con le sue perversioni. Infine il sempre presente Sudamerica, la povertà e l’indigenza e, nello specifico, il Perù, con le sue vicende politiche eternamente segnate dai colpi di stato.
Ricardo, l’io narrante di questa storia, passati i cinquant’anni accompagnerà la niña mala nell’avventura più grande che abbia mai affrontato, quella verso la morte e, dopo che la donna della sua vita sarà scomparsa, troverà la forza per sublimare quel passato di gioie e umiliazioni in un libro. La scrittura nasce dall’assenza e nell’assenza trova la sua ragion d’essere così, dove finisce la vita, inizia l’arte.