martedì 15 novembre 2011

CONFESSIONE DI UN ASSASSINO, Joseph Roth


Joseph Roth, con una scrittura limpida e profonda, ci accompagna in una catabasi moderna, in una vertiginosa e consapevole discesa nell’inferno dell’anima. Un narratore anonimo – di cui ben poco sapremo anche col procedere della narrazione – riporta nero su bianco la strana e misteriosa vicenda di cui è stato testimone: una notte, in un ristorante russo a Parigi, Golubcik, ex-spia dell’Ochrana (la polizia segreta russa) decide di raccontare la storia della sua vita, coinvolgendo gli avventori in una narrazione orale di straordinaria potenza emotiva. Golubcik racconterà tutto di sé, senza reticenze né vergogne, anche gli aspetti più abietti e reconditi esternando l’ombra che da sempre lo perseguita, come un vecchio rimorso. Inizia così l’autoritratto di un uomo che ha vissuto e conosciuto l’abisso: l’infanzia e la giovinezza passate a sognare di essere riconosciuto dal padre naturale, il principe Krapotkin, il conseguente odio per il suo figlio legittimo, le ambizioni personali, l’arruolamento nei servizi segreti russi, i crimini e i tradimenti del mestiere, la passione per una donna frivola, l’accecante gelosia, l’omicidio. Golubcik ha vissuto un’esistenza dedita al Male fino al tormentato e tardivo pentimento finale che, pur concedendogli finalmente la liberazione dalla schiavitù dell’odio, non gli evita rimorsi e sensi di colpa. Il lungo viaggio di Golubcik verso la perdizione è costellato, nei suoi punti cruciali, dall’incontro con lo strano Lakatos, uomo di mondo elegante ed affabile che, con i suoi consigli luciferini e con il suo incedere zoppicante, è la chiara personificazione umana del Male («Notate, cari amici, con quale crudeltà Dio mi trattava, mettendo questo profumato Lakatos al primo crocevia che dovevo attraversare lungo la mia strada. Senza questo incontro la mia vita sarebbe stata completamente diversa. Ma Lakatos mi portò dritto all’inferno. Me lo profumò persino»). Un racconto metafisico sul potere del Male, sul suo sottile ed ammaliante fascino seduttivo, ma anche un appassionante racconto poliziesco e di spionaggio che si addentra nelle trame e nei crimini del sistema di polizia russo, al tempo stesso un racconto di erotismo e voluttà dove l’amore cede il posto alla passione e la gelosia all’ossessione.

sabato 12 novembre 2011

DOMANI NELLA BATTAGLIA PENSA A ME, Javier Marìas


«Nessuno pensa mai che potrebbe ritrovarsi con una morta tra le braccia e non rivedere mai più il viso di cui ricorda il nome». Così inizia il racconto di Víctor, narratore e protagonista del libro di Javier Marías. Tutto comincia con un invito a cena a casa di una donna semisconosciuta, mentre il marito è a Londra in viaggio di lavoro. Dopo la cena e il vino, il bambino viene messo a dormire e i due, Víctor e Marta, si dirigono finalmente in camera da letto iniziando a baciarsi e a spogliarsi. Il finale di quella serata sembra scontato, già scritto, ma improvvisamente Marta si sente male e, in pochi minuti, muore. Víctor deve affrontare la situazione, deve fare delle scelte. Prende tempo, riflette, pensa, pensa, pensa… Decide di non manifestarsi, di non avvisare nessuno, di lasciare che le cose vadano avanti da sole. In quella casa decide di fare solo poche modifiche, banali e di poco conto, ma che in realtà, scoprirà in seguito (e noi con lui), cambieranno la vita ad altre persone. Uscito da quella situazione senza lasciare tracce Víctor rimane mentalmente impigliato nella rete delle implicazioni che quella notte porta con sé, tormentato dalle conseguenze, da quella casa, da Marta, dal bambino, dalla loro famiglia. Come un fantasma che continua a perseguitarlo Víctor rimane vittima di un incantamento (usa la parola inglese haunted per descriverlo) e la morte di Marta diventa la sua ossessione. Tutto ciò che segue è il racconto, reale e mentale, del percorso di alienazione in cui lo ha condotto questa mania: i suoi tentativi di introdursi nella famiglia di Marta, le sue fantasie sulla sorella di lei, il suo comportamento insistente e sfacciato nel voler essere scoperto… A poco a poco Víctor si addentra sempre più a fondo nella vita di Marta, fino a conoscerne verità ed inganni, fino a capirne trucchi, menzogne e ipocrisie. Nessuno è davvero quello che sembra e l’immagine che mostra di sé agli altri è sempre falsata. Víctor capisce che gli esseri umani sono naturalmente così, che basano le loro relazioni sull’inganno reciproco: a una persona si nasconde un aspetto del nostro carattere, della nostra vita e ad altre persone se ne nasconde un altro… E dunque la verità non esiste né nella relazione né in noi, dato che noi stessi ci inganniamo nel nasconderci il vero. Alla fine, anche il confronto con Eduardo, il marito di Marta, mostrerà a Víctor quanto la realtà sia per tutti illusoria ed evanescente, ma al tempo stesso quanto la finzione, se scoperta, ci si mostri intollerabile: «Vivere nell’inganno o essere ingannato è facile […] e anzi è la nostra condizione naturale: nessuno va esente da questo e nessuno è stupido per questo, non dovremmo opporci più di tanto e non dovremmo amareggiarci. […] Tuttavia ci sembra intollerabile, quando alla fine sappiamo». Nel corso del libro conosceremo meglio Víctor, che lavora come ghost writer, o meglio come “negro” nel mondo delle sceneggiature televisive, che è divorziato da Celia (che assomiglia – oppure è – la puttana Victoria), entreremo nel suo precedente processo di alienazione dovuto alla sovrapposizione di queste due donne e ne seguiremo i passi mentre si addentra alla Corte reale spagnola in una rappresentazione grottesca e ironica di un mondo ormai appartenente al passato. Tutto questo con lo stile unico di Marías che ha costruito la sua opera con periodi lunghissimi per dare vita e spessore al flusso di coscienza del narratore. Una scrittura difficile in cui il racconto dei fatti cede quasi sempre il posto alla successione dei pensieri, trasformando una vicenda esteriore in un movimento dell’interiorità. Le frequenti ripetizioni, evidenziate anche grazie all’uso delle parentesi, legano i vari personaggi, trasportando le loro singole e differenti vite su un piano di universalità umana, rendendoli partecipi di un’unica grande storia. Un romanzo, ovvero un racconto di fantasia e di finzione, che riflette sulla finzione dell’esistenza e che, in questo modo, lega scrittura e vita. Così, in appendice all’edizione Einaudi, troviamo il discorso pronunciato da Marías a Caracas nel 1995 in occasione dell’assegnazione del Premio Rómulo Gallegos: una riflessione sul romanzo e sulla simulazione che porta inevitabilmente con sé.

sabato 5 novembre 2011

DOLCENERA, Fabrizio De André



Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é 
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê 
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è 
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê 

nera che porta via che porta via la via 
nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera 
nera che picchia forte che butta giù le porte 

nu l'è l'aegua ch'à fá baggiá 
imbaggiâ imbaggiâ 

nera di malasorte che ammazza e passa oltre 
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna 
nera di falde amare che passano le bare 

âtru da stramûâ 
â nu n'á â nu n'á 

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere 
ché è venuta per me 
è arrivata da un'ora 
e l'amore ha l'amore come solo argomento 
e il tumulto del cielo ha sbagliato momento 
acqua che non si aspetta altro che benedetta 
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale sale 
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte 

nu l'è l'aaegua de 'na rammâ 
'n calabà 'n calabà 

ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare 
quando ingorga gli anfratti si ritira e risale 
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda 
e la lotta si fa scivolosa e profonda 

amiala cum'â l'aria amìa cum'â l'è cum'â l'è 
amiala cum'â l'aria amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê 

acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti 
acqua per fotografie per cercare i complici da maledire 
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti 

âtru da camallâ 
â nu n'à â nu n'à 

oltre il muro dei vetri si risveglia la vita 
che si prende per mano 
a battaglia finita 
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi 
ha avuto in un giorno la certezza di aversi 
acqua che ha fatto sera che adesso si ritira 
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente 
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore 

atru de rebellâ 
â nu n'à â nu n'à 

e la moglie di Anselmo sente l'acqua che scende 
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle 
nel suo tram scollegato da ogni distanza 
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza 

così fu quell'amore dal mancato finale 
così splendido e vero da potervi ingannare 

Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é 
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê 
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è 
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê 

martedì 1 novembre 2011

LE PICCOLE VIRTÙ, Natalia Ginzburg


Undici racconti, a metà tra l’autobiografia e il saggio, che costituiscono, secondo Italo Calvino, «una lezione di letteratura». La Ginzburg raccoglie alcuni suoi scritti che spaziano lungo un arco temporale che va dal 1944 al 1962 e che racchiudono un’ampia gamma di stili e di tematiche differenti tra loro. Quello che rimane sempre invariato, filo conduttore dei piccoli universi narrativi qui raccolti, è l’io narrante, dietro il quale ogni volta vediamo chiaramente lei, Natalia. L’autrice non si nasconde mai dietro personaggi fittizi e ama parlare solo di quello che conosce meglio, di quello che ha sempre saputo e che l’accompagna da sempre… Il suo essere bambina, adolescente, donna e poi madre, la paura della povertà e del regime, la scoperta dell’amore, il dolore atroce causato dalla morte delle persone care, il calore delle piccole cose della vita quotidiana, l’amore per i figli… L’universo della Ginzburg è costellato di piccoli gesti importanti, innocenti e primitivi. La semplicità è il suo marchio e la sua forza.
Per questo un autore come Cesare Pavese, suo caro amico e collega all’Einaudi, ad un certo punto sbotterà nel Mestiere di vivere (5 febb. 1948): «La mia crescente antipatia per N. viene dal fatto ch’essa prende per granted, con una spontaneità anch’essa granted, troppe cose della natura e della vita.». La comprensione reciproca tra i due amici, che incarnano due opposti modi di rapportarsi alla vita e alla scrittura, non sarà mai ovviamente del tutto possibile. Natalia ci lascia in Ritratto d’un amico un commovente ritratto di un Pavese eterno adolescente che «si era creato, con gli anni, un sistema di pensieri e di principî così aggrovigliato e inesorabile, da vietargli l’attuazione della realtà più semplice». Oltre al bellissimo e delicato ritratto di Cesare Pavese, Le piccole virtù contiene racconti che rievocano il periodo bellico, l’esilio in Abruzzo, la povertà e poi la vita in Inghilterra, così come piccole riflessioni su questioni universali ed importanti, affrontate sempre con grande semplicità e concretezza, che vanno dalla questione dei rapporti umani, alla necessità del comunicare con gli altri, al mestiere di scrivere e all’educazione dei figli.
Da Elogio e compianto dell’Inghilterra ho scelto di riportare questo estratto che racconta, con una lucidità ancora attuale, la situazione italiana nel 1961:
«L’Italia è un paese pronto a piegarsi ai peggiori governi. È un paese dove tutto funzione male, come si sa. È un paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. È un intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di nessuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto».